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Pelagos, il santuario dei cetacei
Pelagos, il santuario dei cetacei

Biodiversità

Pelagos, il santuario dei cetacei

Mar Mediterraneo, La Spezia - Partenza

Un quadrilatero che brulica di vita e che rischia di perdere la sua biodiversità

Avete mai sentito parlare del Santuario Pelagos?

Il Mar Mediterraneo occupa soltanto lo 0,32% del volume degli oceani nel mondo, eppure qui abitano tra il 4% e il 18% delle specie marine mondiali.

Questa percentuale è resa possibile anche da aree come quella del Santuario Pelagos. Si tratta di una zona marina specifica del Mediterraneo caratterizzata da un incredibile picco di biodiversità, in particolare per il numero di predatori come i mammiferi marini. Questo quadrilatero immaginario ha una superficie di 87.500 km² e la sua istituzione è stata sancita da un accordo tra Italia, Principato di Monaco e Francia, sottoscritto a Roma il 25 novembre 1999 ed entrato in vigore il 21 febbraio 2002. Al centro c’è la protezione delle specie di cetacei che abitano il Mediterraneo, così come la salvaguardia e la cura dell’ambiente marino deterioratosi negli anni a causa di diversi fattori, in parte naturali (fluttuazioni climatiche, epidemie, ecc.), ma per lo più connessi all’attività dell’uomo in mare e sulle coste. Balenottera comune, capodoglio, grampo, tursiope, globicefalo, stenella, delfino comune, zifio. Sono queste le specie che è possibile incontrare navigando nel Santuario Pelagos. Questo però è anche, ciò che quotidianamente viene messo in pericolo dall’azione antropica.

Ma di quali fonti di pericolo parliamo per questi grandi mammiferi marini?

Collisioni

Tra i fattori più ricorrenti nel Mediterraneo troviamo gli scontri tra grandi cetacei e imbarcazioni, come navi da pesca, navi passeggeri, navi merci, ma anche imbarcazioni utilizzate per gare sportive e per il whale watching. Nelle popolazioni dei grandi cetacei, a subire i danni maggiori sono poi quelle più isolate e numericamente più esigue, per questo più esposte al rischio di mancato avvistamento tempestivo. Ricerche condotte da scienziati e compagnie di navigazione in seguito alla creazione del Santuario Pelagos hanno acceso l’attenzione in particolare su due specie, considerate tra le più grandi del pianeta e oggi gravemente minacciate dalle collisioni: la balenottera comune e il capodoglio. Pensate che che il 6% degli esemplari fotoidentificati in mare e circa il 20% degli esemplari spiaggiati presentavano tracce di collisione.

Cattura accidentale

A minacciare la presenza dei cetacei del Mediterraneo sono poi le cosiddette catture accidentali connesse alle attività di pesca. Queste in particolare colpiscono le popolazioni di delfini, i cui esemplari più giovani risultano più vulnerabili

Presenza umana

Ovviamente poi c’è anche il turismo con tutte le attività che ne derivano, come appunto il già citato il whale watching, a volte purtroppo svolto con incuria e in maniera incontrollata, senza tener conto dei danni causati dalle tecniche di accerchiamento, avvicinamento e di contatto con l’animale.

Tra le conseguenze a breve termine di queste attività si osservano modifiche del comportamento, fuga, disgregazione del gruppo, disturbo del ciclo immersione-respirazione nella fase di riposo. Danni che possono divenire irreparabili e portare a una decrescita a lungo termine delle popolazioni.

Rumore

Un’ulteriore fonte di stress per le popolazioni dei cetacei è dovuta all’inquinamento acustico subacqueo, forma di inquinamento riconosciuta, ma non regolamentata, sottovalutata eppure letale, che come altre forme di inquinamento ha carattere transfrontaliero, ossia coinvolge più nazioni, e necessiterebbe quindi di un patto multilaterale. Tra le principali sorgenti di inquinamento acustico, capaci di propagarsi nel raggio di centinaia di chilometri, troviamo il trasporto marittimo, l’esplorazione petrolifera e del gas e i siti di produzione di queste materie prime, il dragaggio, la costruzione e le attività militari.

Studi degli ultimi anni hanno evidenziato come il rumore marino legato al traffico marittimo continui ad aumentare. Si stima che dal 1950 al 2000 il rumore in bassa frequenza sia raddoppiato ogni 10 anni a causa del numero di imbarcazioni, triplicatosi nel tempo, e alle loro dimensioni in continuo aumento. Anche in questo caso diretta conseguenza di ciò sono le modifiche comportamentali rilevate nelle popolazioni colpite, incapaci così di orientarsi, trovare nutrimento, localizzare un partner, evitare i predatori e comunicare. Tutte attività svolte grazie alle onde sonore.

Si è dimostrato, che esiste un collegamento diretto tra rumore antropico e catture accidentali o collisioni con le imbarcazioni, dal momento che il rumore impedisce agli animali di individuare le reti da pesca o i natanti. Determinate forme di rumore oceanico possono addirittura uccidere, ferire e causare la sordità di balene, di altri mammiferi marini e dei pesci. All’esposizione ai sonar militari sono stati ricondotti anche una serie di spiaggiamenti e di decessi in mare di mammiferi marini. E ancora, relativamente a diverse specie sottoposte a pesca commerciale, si è dimostrato come un rumore intenso provochi l’abbandono dell’habitat, la riduzione delle capacità riproduttive e una maggiore sensibilità alla malattia.

Inquinamento

Un’ulteriore minaccia per le popolazioni di cetacei è costituita dall’inquinamento chimico. Gli idrocarburi minacciano gli esemplari provocando intossicazioni e irritazioni croniche dei tessuti sensibili, impregnando e asfissiando le specie. Gli inquinanti organici persistenti come i PCB (policlorobifenili) si accumulano invece nei tessuti adiposi dei mammiferi che, trovandosi al vertice della catena alimentare, risultano più esposti al rischio di contaminazione rispetto agli altri animali marini, a causa del fenomeno del bioaccumulo: il trasferimento e aumento di concentrazione di elementi o sostanze tossiche nei tessuti degli organismi con cui gli esemplari entrano in contatto tramite acqua e cibo.

Questo accumulo notevole di contaminanti può essere causa di disturbi biologici nei cetacei, come indebolimento fisico e disfunzioni dell’apparato riproduttivo. Ulteriori problemi sono dovuti ai pesticidi come il DDT, causa di malformazioni e tumori. Inoltre, durante l’allattamento, questi contaminanti chimici si trasmettono dalla madre al piccolo attraverso il latte, ricco di grassi. Anche i metalli pesanti (mercurio, piombo, ecc.) sono causa di disfunzioni fisiologiche, soprattutto a carico del sistema nervoso. A tutto ciò si aggiungono poi i rifiuti urbani e i liquidi domestici, talvolta scaricati in mare senza preventiva depurazione delle acque reflue.

Infine si arriva necessariamente alle emissioni dei gas a effetto serra dovute all’uso delle imbarcazioni a motore e del relativo carburante. Emissioni che accelerano il deterioramento dell’ecosistema, il riscaldamento climatico e dell’acqua, provocando disturbi polmonari nelle specie di cetacei.

Le città

Negli ultimi decenni è sempre più preponderante infatti la tendenza all’urbanizzazione e industrializzazione delle coste, uno sviluppo praticato non sempre in un’ottica sostenibile. Si pensi all’erosione del suolo, al disboscamento, all’inquinamento dell’acqua dolce, soprattutto a causa dei concimi, degli anticrittogamici e dei pesticidi, utilizzati in determinate pratiche agricole costiere. Senza dimenticare anche le modifiche della rete idrografica a causa della costruzione di dighe, canali e laghi di sbarramento che possono incidere sulla qualità e la quantità dell’afflusso di acqua dolce nella zona del Santuario.

Cosa bisogna fare per praticare un’osservazione sicura nelle aree protette?

Se non viene eseguita correttamente, l’osservazione dei cetacei può essere fonte di disturbo per le specie. Fate appello ad operatori riconosciuti da un marchio di qualità e seguite il seguente codice di condotta:

  • Evitare di effettuare l’osservazione a meno di 5 miglia dalla costa.
  • Orientare l’imbarcazione in posizione parallela agli animali.
  • Limitare la velocità dell’imbarcazione a 5 nodi ed evitare cambiamenti improvvisi.
  • Posizionare una sola imbarcazione per volta nella zona di vigilanza e limitare la durata dell’attività di osservazione a 30 minuti (15 minuti in caso di presenza di altre imbarcazioni).
  • Interrompere immediatamente l’attività di osservazione in presenza di animali in stato di agitazione.
  • Aumentare l’attenzione in presenza di piccoli.
  • Non toccare, nuotare o dare cibo ai cetacei.