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Molte altre volte Giovanni Soldini ha attraversato lo stretto di Gibilterra.

Matteo Nucci con lo ha raccontato in passato con queste parole:

“La notte, due giorni dopo, mentre Maserati taglia il mare nero risalendo Gibilterra, Giovanni Soldini al timone non guarda le vele ma l’acqua in cui grumi di plancton fluorescenti passano veloci disegnando l’increspatura sottile delle onde. Il vento è leggero ma ancora per poco. Arriveranno 35 nodi da combattere di bolina fino a Cadice. Soldini lo sa e si prepara. Tutti sono pronti. Abbiamo mangiato cous cous. Regna un silenzio gonfio di attesa e io penso che in fondo è qui che si apre la grande distanza che separa due mondi. Da una parte, quei navigatori specialisti e velocisti, soprattutto anglosassoni, protestanti, epigoni di una tradizione industriale che ha sempre visto la natura come nemica, la natura da conquistare e sottomettere. Dall’altra, quei navigatori che ereditano semmai la tradizione degli esploratori e sanno che la natura va accudita e conosciuta per prevederla e conviverci. Solo questi ultimi conoscono il perfetto equilibrio fra ciò che è sotto e ciò che è sopra, ciò che è dentro e ciò che è fuori. Perché adeguandosi alla natura sanno anche bene in cosa la natura umana può essere almeno un po’ viziata. Sanno come scendere nelle viscere della propria psiche. Allora, mentre nel buio cerco d’intuire le colonne d’Ercole che abbiamo ormai superato, saluto tutti e scendo sottocoperta.”