L’ottobre 2022 ha fatto particolarmente caldo non solo in molte città, campagne e montagne italiane, ma anche nel mare. È stato registrato che il 30 ottobre le temperature superficiali del Mediterraneo settentrionale, tra la Corsica e le coste del sud della Francia, erano fino a 4 o 5 °C superiori alle medie degli ultimi trent’anni. L’aumento delle temperature marine purtroppo non è un evento passeggero e destinato a rientrare nella normalità. Il riscaldamento globale riguarda anche le acque degli oceani, che nel 2021, per il sesto anno consecutivo, sono state stimate più calde del precedente. Anche l’innalzamento del livello dei mari rientra in questo maxi cambiamento ambientale poichè non è dovuto alla sola fusione dei ghiacci continentali dell’Antartide e della Groenlandia, ma anche alla dilatazione termica dell’acqua: se aumenta la temperatura, cresce il volume. Tra maggio e agosto 2022 ogni punto superficiale del Mediterraneo occidentale è stato colpito da almeno un’ondata di calore marina: significa che per almeno cinque giorni consecutivi, nei primi 100 metri di profondità, ci sono state temperature diurne estremamente alte sempre rispetto a quelle registrate tra il 1991 e il 2020. E quest’anno non sembra essere da meno.
Con quali conseguenze?
Marco Reale, ricercatore dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS), facendo riferimento a concetti di base della fisica ha evidenziato una conseguenza preoccupante di questo innalzamento della temperatura delle acque marine: l’aumento dell’intensità delle tempeste, soprattutto degli uragani. Questo perché gli uragani funzionano come macchine termiche, prelevano calore da una sorgente, in questo caso l’oceano, e lo convertono in lavoro con un certo rendimento, appunto i venti. Tanto più calore c’è nell’oceano, tanta più energia è a disposizione per essere convertita in lavoro, quindi tanto più i fenomeni diventano intensi. Acqua e atmosfera sono un sistema accoppiato e interagiscono tra loro. Seppur nel Mediterraneo non si formino (ancora) uragani, la maggiore temperatura dell’acqua ha comunque delle ripercussioni sui fenomeni atmosferici favorendo i cosiddetti cicloni tropicali mediterranei (i famigerati Medicane) che sono diventati più frequenti con il cambiamento climatico: piove per alcune ore in una zona più o meno costiera e arriva al suolo una quantità spropositata di acqua: ad esempio nell’ottobre 2021 in un comune vicino a Genova caddero 740 millimetri di pioggia in 12 ore.
Un altro scienziato viene in nostro aiuto per comprendere meglio la questione. Si tratta di Franco Reseghetti, fisico dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie. Uno degli studi di Reseghetti consiste nella misurazione delle temperature del mar Ligure e del mar Tirreno, a profondità maggiori rispetto a quelle di cui possono rilevare le temperature i satelliti di Copernicus (il progetto scientifico europeo per l’osservazione della Terra che registra i dati citati finora). La sua conclusione è che ci sono stati sei anni consecutivi di riscaldamento. Reseghetti ha potuto osservare che l’acqua del mar Ligure e del mar Tirreno si è scaldata anche nella fascia compresa tra i 300 e gli 800 metri di profondità. Nello specifico dal 2013 la temperatura che nel Tirreno si misurava a 800 metri di profondità è aumentata di quasi mezzo grado e oggi è di circa 14 °C. Secondo il fisco con solo mezzo grado in più si può innescare una quantità di energia che a spanne è superiore di gran lunga a tutta l’energia che usiamo in un anno in Italia. Numeri spaventosi.
Purtroppo però questo riscaldamento avrà conseguenze anche sugli ecosistemi marini. Anche gli organismi che vivono in acqua, esattamente come noi, hanno un intervallo di temperature ottimali per i propri cicli vitali, e ogni sbalzo determina delle piccole rivoluzioni. Di conseguenza le specie che possono farlo si spostano, sia orizzontalmente, verso nord nel caso del Mediterraneo, sia verticalmente nella colonna d’acqua. Gli organismi marini risentono ovviamente anche dell’aumento della salinità e dell’acidità delle acque, entrambi legati al cambiamento climatico. Le ondate di calore marine che hanno colpito il Mediterraneo tra il 2015 e il 2019 hanno causato morti di massa di decine di specie di organismi viventi nei primi 45 metri di profondità, soprattutto coralli e alghe. È difficile fare previsioni più precise sul lungo periodo, perché le variabili sono tantissime, ma la riduzione dei gas serra pare l’unico strumento in mano all’uomo per rallentare questi cambiamenti.
Una flebile speranza
Di recente è stata eseguita una simulazione ipotizzando lo scenario RCP 4.5, in cui cioè, prendendo come riferimento il 2100, le emissioni vengono arginate al fine di evitare il superamento eccessivo dei 2 °C in più rispetto ai livelli pre-industriali. Il Mediterraneo reagirebbe bene, dimostrando una particolare resistenza a questi cambiamenti. A patto però che si rispettino i vincoli che la comunità scientifica, sempre più spesso e in maniera legittima, incomincia a segnalare con urgenza.