Secondo il report The Mediterranean: Mare Plasticum dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) nel bacino Mediterraneo si trova oltre un milione di tonnellate di plastica. Nello specifico la quantità di plastica totale accumulata è stimata nell’ordine di grandezza di 1.178.000 tonnellate, con un’incertezza che va da 53.500 a 3.546.700 tonnellate.
È stato calcolato che ogni anno, circa 230.000 tonnellate di rifiuti plastici raggiungono le acque del mare. La fetta maggiore (circa il 94%) è costituita da macroplastiche, mentre le microplastiche, ossia frammenti plastici più piccoli di 5 mm, rappresentano il 6%. Secondo il WWF l’Italia è il maggior produttore di plastica del bacino, seguita a ruota dalla Turchia, mentre l’Egitto è il paese con il più alto impatto inquinante, riversando in mare quasi il 44% della plastica prodotto dai paesi bagnati dal Mare Nostrum (l’Italia il 7%). Italia, Egitto e Turchia sono responsabili della dispersione di circa il 50% dei rifiuti plastici che finiscono in mare (132.000 tonnellate/anno). Se consideriamo invece solo le microplastiche, il nostro Paese si colloca in cima alla classifica con 3.413 tonnellate/anno di particelle rilasciate in mare. La situazione appare ancora più preoccupante guardando al dettaglio delle città più inquinanti del bacino mediterraneo: tra le prime 10, ben 5 sono italiane (Roma, che detiene il primato assoluto, poi Milano, Torino, Palermo e Genova).
Tra i fattori che mettono sotto pressione il Mar Mediterraneo in relazione all’inquinamento da plastiche ci sono senza dubbio una elevatissima densità demografica. Ma l’essere in tanti non può di certo essere né una colpa, né un attenuante. Si aggiunge infatti una scellerata o solamente sufficiente gestione dei rifiuti, condita dalla totale assenza di un sistema di raccolta differenziata in alcune aree. La navigazione mercantile e il turismo di massa sono due ulteriori aggravanti.
I grandi pezzi di plastica feriscono, soffocano e causano atroci morti tra gli animali, incluse specie protette e a rischio come le tartarughe marine. Ma se le macroplastiche hanno il deficit di essere se non altro facilmente individuabili e quindi recuperabili, il vero problema è rappresentato dalle microplastiche, frammenti microscopici a occhio nudo. Le microplastiche secondo uno studio del WWF del 2018 hanno raggiunto nel Mediterraneo concentrazioni record quasi 4 volte superiori a quelle registrate nell’ “isola di plastica” del Pacifico settentrionale. Questi frammenti minacciano ovviamente un numero enorme di specie animali, ma venendo ingeriti ed entrando nella catena alimentare, mettono a rischio anche la salute umana.
Le microplastiche sono particelle sintetiche che provengono da derivati del petrolio. Sono difficilmente degradabili. Sono presenti in molti prodotti di consumo detergenti, dentifrici, creme per la pelle, come esfolianti e solari, ma anche in fibre sintetiche dell’abbigliamento. Poiché sono oggetti consumati quotidianamente, le microplastiche contenute in essi vengono costantemente scaricate nelle nostre acque reflue. Ma questi materiali sono tossici, abrasivi e difficili da trattare nella filtrazione degli impianti. Le micorplastiche si sono accumulate in modo incontrollato nell’ambiente per decenni e oggi rappresentano più del 50% dei milioni di tonnellate di plastica scaricate in mare ogni anno. Le microplastiche sono state trovate in ogni angolo del pianeta: negli organismi naturali, negli alimenti e nei terreni, nei fiumi e in cima ai ghiacciai, e persino nella placenta delle donne in gravidanza.